Utilizzando un budget provocatoriamente basso, i collettivi selezionati, rappresentanti di quella natura nomade, entusiasta, intraprendente e pluridisciplinare nascosta dietro ogni studio di progettazione contemporaneo, hanno prima proposto e dopo costruito, coinvolgendo gli abitanti, quattro architetture passeggere per rivelare le potenzialità di quattro luoghi abbandonati perché privi, apparentemente, di valori eclatanti.
Le installazioni, inaugurate dalla lectio magistralis di Bernardo Secchi e Paola Viganò, hanno successivamente ospitato eventi di varia natura, come ad esempio lecture e performance teatrali itineranti, dimostrando in scala 1:1 la loro capacità di riattivare luoghi di risulta.
Come detto, il linguaggio scherzosamente imposto dagli organizzatori della manifestazione, è stato quello del gioco e di come quest’attività primordiale che accompagna l’uomo fin dai primi momenti della propria esistenza, possa (quando non addirittura debba) imporsi come momento fondamentale nel processo creativo per riposizionare la figura dell’architetto lasciandolo libero di sperimentare nuovi linguaggi, nuove logiche e perché no, nuove regole.
Ed è stato proprio il concetto di gioco a collegare tutte le conferenze che si sono susseguite durante le tre settimane di svolgimento di A-Way.
Ma sono le installazioni temporanee, vero e proprio fulcro dell’iniziativa, il pretesto per testare concetti e ragionamenti espressi durante le conferenze.
Architettando, concentrando l’azione progettuale sulla superficie di una copertura di un parcheggio interrato posto all’interno della cinta muraria nel Campo di Santa Marta, ha trasformato parte della distesa verde in una sorta di spiaggia decontestualizzata, rivisitando il concetto di molo e di sdraio, facendo atterrare la sabbia dove non ve n’è mai stata traccia. In questo modo la cittadinanza ha potuto oltrepassare un limite, quello imposto dal marciapiede che circonda l’area di progetto, senza per questo doversi sentire particolarmente colpevole.