Questa affermazione monumentale funge da lente per mettere a fuoco lo sparso panorama dei problemi della costruzione della modernità nella Polonia tra le due guerre e nell’Europa centrale di quegli anni. Dopo la prima guerra mondiale la Polonia riapparve sulla carta del mondo, riconquistando l’indipendenza dopo 123 anni di smembramento (il paese era stato diviso in tre parti e annesso all’Impero russo, al Regno di Prussia e all’Impero absburgico).
Il nuovo Stato cercava di dar vita a una nuova identità e l’architettura fu uno degli strumenti chiave per la formazione di un carattere nazionale, per la creazione di nuovi miti e per il collegamento con il passato.
Szyszko-Bohusz, che David Crowley ha definito “l’architetto di Piłsudski”, ebbe numerosi incarichi dalle istituzioni. Fu autore di parecchi mausolei e monumenti eretti a celebrazione degli eroi nazionali, i cui funerali (alcuni dei quali replicati con la traslazione delle spoglie) furono una componente della propaganda statale mirante a costruire nuovi miti e a spettacolarizzare la morte.
Affermava Lewis Mumford che “[…] il concetto di monumento moderno è una vera e propria contraddizione in termini”. Per definizione è pressoché impossibile realizzare un monumento sulla base della modernità, dato che la sua essenza sta nel commemorare il passato.
Il baldacchino si innalza su sei colonne corinzie ed è recintato da una balaustra. Ma la parte più interessante è proprio la copertura. Come a contraddire i sostegni storicisti esibisce un forma di bronzo, un tetto piano modernista, un monolite ideale, un perfetto archetipo platonico. Lo si può leggere come una metafora dello Stato moderno costituito sulle fondamenta di una storia complessa. E tuttavia il paradigma è turbato da un particolare evento spettacolare: la colonna è separata dal tetto da una lacuna. In questo modo la tavola del tetto non posa direttamente sui capitelli corinzi ma su sottili supporti quasi invisibili.
È proprio questa lacuna la sede dell’“oggetto impossibile” del titolo, che può avere una duplice interpretazione. Prima di tutto nella sfera spirituale, in quanto collegata all’essenza della sepoltura, dove le colonne rimangono nel regno della terra in contrasto con il soffitto, che è una metafora della sfera spirituale, simbolo dell’eternità. Sottolineando la qualità di levitazione del soffitto, sostenuto da cubi a specchio, i curatori e l’artista hanno dato vita a un’ampia gamma di significati impliciti. La lacuna è una discrepanza tra la tensione dei Modernisti, la loro lotta per raggiungere una mitica modernità, e la realtà che è piena di storia, di ripetitività.
La mostra colpisce per il suo fatalismo. Nel contesto dello Stato, della politica e della propaganda la modernità non è raggiungibile. Le visioni falliscono sempre, passando dal filtro del populismo e del gusto della massa. A paragone degli altri padiglioni, che vantano i loro cent’anni di successi modernisti, talvolta emanando un fresco respiro d’ottimismo, il padiglione polacco è un’audace celebrazione dell’utopia che accompagna ogni sforzo di costruire la modernità.
C’è la preoccupazione che una mostra che solleva problemi specifici della regione centroeuropea possa rivelarsi troppo ermetica per un’ampia fascia di pubblico.
La mostra è inoltre superfluamente illustrata all’ingresso del padiglione, dove vengono presentate delle fotografie (stampate su porcellana, come è tradizione per le foto delle tombe polacche), che dovrebbero far da introduzione a vari temi di carattere funebre. Da un lato ci si trova di fronte a rappresentazioni di monumenti costruiti secondo lo spirito modernista, dall’altro ci sono le lapidi funerarie di architetti celebri, di grandi modernisti come Mies, Le Corbusier, Alvar Aalto. I curatori hanno inserito a bella posta dei falsi tra le foto: una falsa lapide su cui è raffigurata una forma che assomiglia alla sede della CCTV di Pechino di OMA – un’ipotetica lastra tombale di Rem Koolhaas? Un tocco di ironia che pare fuori luogo, dato che contraddice il tono sommesso del pezzo centrale.
E tuttavia, al di là di tutti questi dubbi, la mostra del padiglione della Polonia è una delle più interessanti dei Giardini. In realtà si tratta della pietra tombale dell’utopia modernista.
Polonia
Impossible objects
Commissario: Hanna Wróblewska
Curatori: Institute of Architecture (Dorota Jedruch, Marta Karpinska, Dorota Lesniak-Rychlak, Michal Wisniewski), Jakub Woynarowski
Sede: Pavilion at Giardini
fino al 23 novembre 2014
14. Biennale Architettura
Fundamentals
Giardini, Venezia