Mostri moderni alla Biennale di Taipei

La Biennale di Taipei è uno degli eventi più influenti e concettualmente stimolanti sia nella scena artistica locale sia nel panorama globale. Il curatore Anselm Franke racconta a Domus il suo approccio all'edizione di quest'anno, che ha abbracciato la riflessione politica e sociale della società contemporanea.

Uno splendido, sterminato paesaggio verde non sempre è innocuo come può sembrare. Man mano che la città di Taipei si espande, il suo rapporto con l'ambiente naturale rappresenta un nodo cruciale nella comprensione della ristrutturazione urbana neoliberale. Nelle parole di un amico, la sorveglianza e la sfera sociale di Taiwan sono una "condizione di vita messa a nudo". A mezz'ora di distanza da Taipei, lungo una superstrada di recente costruzione, sorge la cittadina di Pinglin, nota soprattutto per le sue piantagioni di tè verde. Una seconda superstrada, con un altro tracciato, passa oggi ai margini della città, minacciando le coltivazioni. Per gli agricoltori che vi lavorano, oggi è più difficile vendere i prodotti.

Sheng Lin Chang — docente al Graduate Institute of Building and Planning della National Taiwan University, nonché direttrice del New Ruralism Research and Development Center — ha ideato una nuova forma di collaborazione didattica tra questi contadini e i suoi studenti. Oltre a organizzare seminari e ricerche nel settore della coltivazione del tè verde, il suo team, che comprende Brad Huang (segretario generale della Federazione cinese di ornitologia), ha creato il marchio Blue Magpie Tea per sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo al calo della popolazione di uccelli originari delle montagne della regione. L'urbanista e attivista Sheng Lin ha coniato il termine "agri-action" per descrivere non solo il suo lavoro con studenti e coltivatori per la costruzione del Pinglin Satoyama Centre, ma anche la più ampia applicazione degli strumenti di ricerca utilizzati per aumentare la conoscenza del sistema rurale e dell'ecodiversità, minacciati dallo sviluppo urbano e dal mercato immobiliare.
In apertura: Andreas Siekmann, <i>Trickle down—Public Space in the Era of its Privatization</i>, 2007?/?2012. Qui sopra: Hannah Hurtzig, <i>The Waiting Hall. Scenes of Modernity</i>, 2012, installazione e performance
In apertura: Andreas Siekmann, Trickle down—Public Space in the Era of its Privatization, 2007?/?2012. Qui sopra: Hannah Hurtzig, The Waiting Hall. Scenes of Modernity, 2012, installazione e performance
Il raggio d'azione di architetti e urbanisti di questo tipo, che non solo sono presenti nello spazio rurale ma sono anche coinvolti nella situazione locale, è illustrata dal film Life of Particles (2012), presentato nell'ambito della Biennale di Taipei, uno degli eventi più influenti e concettualmente stimolanti sia nella scena artistica locale sia nel panorama globale. Nel documentario, un coltivatore di riso giapponese parla della libera formazione della soggettività e dell'energia della natura. Il tutto fa parte dell'assidua ricerca degli artisti Angela Melitopoulos e Maurizio Lazzarato su soggettività, animismo, pratiche quotidiane, nonché sul lavoro del filosofo e psicoterapeuta francese Félix Guattari.
Jompet Kuswidananto, <i>War of Java, Do You Remember? #2</i>, 2008, video, bianco e nero, sonoro, 7 min
Jompet Kuswidananto, War of Java, Do You Remember? #2, 2008, video, bianco e nero, sonoro, 7 min
Le mostre presentate nella Biennale di Taipei hanno abbracciato la riflessione politica e sociale della società contemporanea. L'ultima edizione, intitolata "Modern Monsters/Death and Life of Fiction", è stata curata da Anselm Franke, da tempo impegnato nella ricerca accademica e curatoriale sul rapporto tra soggettività, animismo e biopolitica nei campi dell'arte e dell'architettura (temi presenti anche in Animism, il numero di e-flux journal uscito nell'estate 2012, di cui Franke è stato guest editor). La sua critica della storia moderna si fonda su una combinazione di prospettive asiatiche e occidentali. Ho parlato con Franke del suo approccio curatoriale e della progettazione di mostre multimediali, ma anche dell'integrazione della rappresentazione all'interno di un contesto concettuale.
Le mostre presentate nella Biennale di Taipei hanno abbracciato la riflessione politica e sociale della società contemporanea.
Anton Vidokle & Hu Fang, <i>Two Suns</i>, 2012, HD video, a colori con sonoro. Riprese di Marcello Bozzini
Anton Vidokle & Hu Fang, Two Suns, 2012, HD video, a colori con sonoro. Riprese di Marcello Bozzini
Anselm Franke: Il mio obiettivo principale era creare una grammatica spaziale per sostenere e strutturare la mostra con una serie definita di elementi di design. Ho collaborato al progetto dell'allestimento con Zak Kyes. Abbiamo usato due tipi di grigio per gli spazi video, il nero per i mini-musei, il bianco per le opere d'arte. Con la stessa intenzione, abbiamo utilizzato tre tipi di parete, e così via. È tutto molto semplice e dà l'impressione di un tutt'uno integrato, senza frammentazione di forme. Non si tratta di un allestimento che vuole illustrare il tema, ossia la mostruosità della modernità e della storia moderna. È importante che la sua struttura sia, in un certo modo, 'istituzionale', e che possa ospitare altri elementi. L'effetto non è la mostruosità in sé, ma un'idea di quel che significa affrontare tale mostruosità entro il formato e i confini di una mostra e di un museo. Che tipo di linguaggio o di medium sono una mostra e un museo? Cosa possono articolare ed esprimere positivamente e che cosa rimane latente o assente, persino violentemente escluso? Possiamo usare queste esclusioni dialetticamente?
Pak Sheung Chuen, <i>Taipei Notes: 2011.11.19–2011.11.28</i>
Pak Sheung Chuen, Taipei Notes: 2011.11.19–2011.11.28
Pelin Tan: Penso che le installazioni siano strutturate ottimamente dentro lo spazio museale, per quanto la mostra simuli numerose visioni artificiali di musei che esplorano la critica dei rapporti soggetto-oggetto. Tuttavia, trovo tutto ciò lievemente contraddittorio nel rapporto con il progetto di una mostra nel museo.
Si tratta di una contraddizione voluta. Uno strumento molto produttivo, una contraddizione interna: da un lato, dà una visione artificiosa del museo, dall'altro, 'musealizza' questo artificio. L'idea è creare un museo 'clinico', che sia anche una specie di 'delirio' del museo, fissando la forma allo scopo di renderla mobile. Tutto ciò, in verità, riflette il tema della Biennale. Affrontiamo un tipo di mostruosità che si rivela capovolgendo le cose. Il mostro Taowu — la nostra mascotte, per così dire—mina le intenzioni umane prevedendone e mandandone all'aria i progetti, ovvero trasformando il bene in male, come un atto di significazione mancato. Sul livello strutturale del contenuto e dell'estetica del lavoro e delle narrative del museo, ma anche a livello progettuale, questo mostro è stato tradotto nel principio della Kippfigur ("Immagine reversibile") — la raffigurazione multi-stable (né stabile né instabile), dove figura e sfondo possono essere scambiati nella percezione. L'intera Biennale è zeppa d'immagini multi-stable e fa di tutto per trasformare il visitatore in una di esse.
Simon Fujiwara, <i>The Museum of Incest</i>, 2009–2010, installazione mixed media, performance e guida. Courtesy of Simon Fujiwara and Collection Filiep, e Mimi Libeert, Belgio
Simon Fujiwara, The Museum of Incest, 2009–2010, installazione mixed media, performance e guida. Courtesy of Simon Fujiwara and Collection Filiep, e Mimi Libeert, Belgio
L'ingresso della mostra, ironicamente, trasforma il pubblico in un'immagine in movimento. Quali erano la tua idea e il tuo approccio?
L'idea principale nell'installazione di Hannah Hurtzig alla Biennale era tramutare il visitatore in un'ombra, de-soggettivizzarlo, se vuoi. Ma te ne rendi conto solo dopo la smaterializzazione, quando ti volti e vedi altri visitatori entrare alla Biennale e diventare parte di questo teatro di ombre. Taiwan è un Paese dalla forte carica spirituale, una sorta di Ade taoista ben organizzato e burocratico. Per averci a che fare, gli uomini devono affrontare transazioni di ogni tipo. Per quanto mi riguarda, l'idea era che l'intera Biennale fosse un 'oltretomba' e che l'entrata rappresentasse la porta di accesso a questo mondo di ombre. Un luogo in cui la negatività regna suprema. La Biennale era intesa quale controparte di questo Ade taoista, un "oltretomba moderno", sui cui orrori poggia l'ordine moderno. Negli ultimi giorni della manifestazione, la complessità e la performatività della soggettività è emersa in Atlas of Asia Art Archive, una presentazione rizomatica che utilizza metafora e mappatura per trascendere le istituzioni, i musei e gli archivi. Questo progetto è il lavoro più recente di map Office, studio di Hong Kong costituito dagli artisti-architetti Laurent Gutierrez e Valérie Portefaix, ed è il prodotto del periodo di residenza del duo all'Asia Art Archive. Setacciando l'intero archivio, map Office ha prodotto una nuova immaginazione e narrativa spaziali attraverso artisti e pratiche associate all'Asia. Riferendosi a Édouard Glissant, scrittore e critico della Martinica, Gutierrez e Portefaix descrivono la molteplicità della produzione artistica asiatica come "un arcipelago di territori collegati, che operano in una geografia composta eppure diffusa… Questa lettura consente una possibile rappresentazione di frammenti di Asia, definendo una nuova tassonomia dei suoi contorni".

29 settembre – 13 gennaio 2013
Modern Monsters / Death and Life of Fiction
Organizzatore: Taipei Fine Arts Museum
Curatore: Anselm Franke
Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, <i>Triptych of the 20th Century</i>, 2002–2008, video installazione a 5 canali, a colori, sonoro, 4 min 50 sec
Yervant Gianikian & Angela Ricci Lucchi, Triptych of the 20th Century, 2002–2008, video installazione a 5 canali, a colori, sonoro, 4 min 50 sec
Pelin Tan è una saggista e curatrice editoriale residente a Istanbul. Con studi in sociologia e storia dell'arte, Tan è professore associato del New Media Department della Kadir Has University, ma anche consulente editoriale di ARTMargins (MIT) e NOON, rivista di arti visive contemporanee della Qwangju Biennale Foundation. Tan è stata curatrice associata della mostra "Adhocracy" alla prima Biennale del Design di Istanbul nel 2012.

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