Domus: Uno degli aspetti che si notano dell'Ichiban-kan è la rilevanza sociale degli spazi di circolazione. I due edifici non hanno porte: si può entrare direttamente dalla strada e salire subito al sesto o settimo piano e incontrarsi per caso. È come se la strada entrasse nell'edificio: è una cosa che non abbiamo più.
Minoru Takeyama: Quando ero bambino non c'erano chiavi. Per me l'edificio evoca la stessa atmosfera, anche se tutti i residenti hanno le porte blindate.
Yasutaka Yoshimura: Nell'edificio è possibile percepire lo spazio pubblico e ciò è veramente particolare e tipico di Tokyo: qui le ragazze si truccano per strada, sentono la strada come uno spazio privato. Quindi possiamo dire che a Tokyo il confine tra i due spazi si va assottigliando. Per questo credo che questo edificio sia molto rappresentativo della realtà di questa città. L'importante non è la facciata, ma il programma.
Yoshiharu Tsukamoto: Ci vuol dire in che modo avvenne la scoperta del suo edificio da parte di Charles Jencks, che poi lo scelse per la copertina del suo libro The Language of Post-Modern Architecture nel 1977?
Minoru Takeyama: A dire il vero, non ne ho idea. Avevo conosciuto Maggie Keswick, la moglie di Jencks, prima che si sposassero. Stava facendo delle ricerche per un libro sul giardino cinese, e l'aiutai a trovare del buon materiale. Era la figlia dei fondatori commerciali della colonia di Hong Kong, apparteneva a una famiglia molto ricca e in ottimi rapporti con molti aristocratici giapponesi. Ogni volta che veniva in Giappone, ci sentivamo. Maggie fece un sacco di lavoro per Jencks, come trovare nuovi edifici a Tokyo e cose del genere.
Minoru Takeyama: Sì, abbiamo avuto molte discussioni, ma solo anni dopo. Anche Kisho Kurokawa era sempre con noi quando Jencks veniva in Giappone. Tuttavia non l'ho mai portato a vedere Nibankan e Ichiban-kan.
Minoru Takeyama: Definire con precisione il postmodernismo è un compito difficile, e prima del postmodernismo… penso che sia difficile trovare del modernismo in Giappone. Credo che non si dovrebbe parlare di ciò che avverrà prima che avvenga.