Un enorme tesoro di conoscenze, diffuso ovunque, che affronta gli argomenti più disparati e offre informazioni e spiegazioni praticamente su ogni aspetto dello scibile umano.
L’intelligenza collettiva
Come sfruttare l’enorme tesoro di conoscenze che circola per la Rete? L’antropologa dei media Stefana Broadbent racconta due approcci diversi: quello estrattivo di Amazon Mechanical Turk, e quello collaborativo di Wikipedia, “Fix my street” e “If you want to”.
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- Stefania Garassini
- 25 aprile 2016
- Milano
Il primo a intuirlo era stato il filosofo francese Pierre Levy che già nel 1994, quando ancora il Web era accessibile a pochi, profetizzava l’avvento di un’intelligenza collettiva, che avrebbe aperto prospettive inedite al pensiero e trovato soluzioni precluse a una ricerca puramente solitaria. Il giornalista John Battelle nel suo libro The search del 2005, dedicato a Google, l’aveva ribattezzata “forza dei molti”, per indicare come l’aumento degli utenti del Web avrebbe portato inevitabilmente a inserire in Rete contenuti di ogni tipo, anche quelli più specialistici e meno noti. Qualsiasi passione o interesse, anche il più bizzarro, avrebbe trovato nell’immensità del Web almeno uno o più adepti altrettanto interessati.
Oggi questo tesoro circola per i canali della Rete in mille forme diverse: è sotto gli occhi di tutti e facilmente accessibile. Non è più un sogno o un’ipotesi, ma una realtà molto concreta, che si può analizzare e valutare. È quello che da qualche anno sta facendo Stefana Broadbent, antropologa dei media, capo del dipartimento di “Intelligenza collettiva” del Nesta di Londra, una charity tra le più attive nel promuovere innovazione, ospite nei giorni scorsi di “Meet the Media Guru” al Palazzo Affari e Giureconsulti di Milano. “Oggi la conoscenza viene trasmessa sempre più spesso al di fuori dei contesti tradizionali. Grazie al Web abbiamo a disposizione una grande risorsa, vicina a ognuno di noi e prontamente utilizzabile – ha spiegato Broadbent, autrice anche di un testo pubblicato in Italia Internet, lavoro, vita privata (Il Mulino, 2012). Proprio l’enorme diffusione di tali conoscenze e il loro essere al di fuori di un contesto specifico costituiscono le grandi novità dello scenario in cui ci troviamo”. È il momento allora di chiedersi come questo tesoro venga concretamente messo a frutto, e quali prerogative abbiano i servizi di maggiore successo. Un caso per tutti certamente è quello di Wikipedia, l’enciclopedia online creata dagli utenti stessi, che oggi ha più di 35 milioni di voci, ed è in continua crescita. Ma la studiosa invita a considerare anche il caso del software open source, reso pubblico dai suoi stessi autori, in modo che altri possano apportarvi modifiche e migliorarlo: tra gli esempi più noti ci sono il sistema operativo Linux e il browser Firefox.
I progetti e i servizi che in varie forme sfruttano o creano intelligenza collettiva presentano ormai caratteristiche e finalità assai diversificate. “In molti casi si tratta di interrogare la “folla” della Rete per ottenere prestazioni varie o risposte a domande: è quello che io chiamo un approccio ‘estrattivo’ all’intelligenza collettiva”, spiega Broadbent. Un esempio è il servizio di Amazon Mechanical Turk, che frammenta un lavoro in migliaia di piccole parti in modo che possa essere svolto da una quantità indefinita di persone, o il database di risposte Quora, che mette in relazione le domande più disparate con le risposte di esperti e semplici utenti. “Un progetto come Wikipedia si rifà invece a un modello diverso, quella della costruzione di conoscenze in modo totalmente distribuito e collaborativo”. In questo secondo caso non c’è alcuna richiesta specifica, ma piuttosto una collaborazione volontaria alla creazione di conoscenze o servizi utili a tutti. Va in questa direzione anche Open street map, servizio – disponibile anche in Italia – di mappatura del territorio cui può contribuire chiunque con una breve formazione iniziale. E la partecipazione dei cittadini è ancora più concreta in Fix my street, attivo in Gran Bretagna e in un gran numero di altri Paesi (non ancora da noi), dove chiunque può segnalare problemi, guasti o malfunzionamenti della propria zona perché vengano aggiustati.
Ma in questo panorama di iniziative, ricchissimo e in continua crescita, è possibile individuare i fattori che determinano la buona riuscita di un progetto d’intelligenza collettiva? “Una prima considerazione è che i progetti di successo in genere sono quelli che prevedono una combinazione di attività online ed eventi offline, come nel caso di Open street map, che organizza periodicamente sessioni di mappatura collettiva in cui i partecipanti possono incontrarsi di persona e lavorare insieme. Un altro aspetto fondamentale è la presenza di uno scopo ben chiaro per l’azione comune e di strumenti adeguati”, spiega Broadbent. Proprio su quest’ultimo punto si registrano le carenze più significative. Gli strumenti attuali si rivelano infatti spesso inadeguati. “Occorre gestire la quantità e complessità dei dati raccolti, e favorire anche forme di partecipazione di maggior qualità, che ad esempio rendano possibile la collaborazione di interi gruppi e non soltanto di singoli. Credo che sia necessario lavorare molto sul design di questi strumenti”.
La direzione più probabile? “Quella di interfacce grafiche sempre più sofisticate e in grado di presentare una grande quantità di dati. Molto spesso, poi, il rischio è che i suggerimenti dei cittadini vengano liquidati da chi deve decidere perché non tengono conto di tutti i vincoli e i problemi della situazione concreta in cui si vorrebbe intervenire. Il mio sogno è che chiunque collabori possa farlo con una conoscenza adeguata di tutte le variabili in gioco, visualizzate in modo intuitivo, con una grafica accattivante, per far sì che il contributo offerto risulti davvero utile”.
Convinta sostenitrice del valore sociale di progetti di questo genere, Stefana Broadbent è alla guida di “If you want to”, piattaforma collaborativa per raccogliere e promuovere progetti digitali che aiutano a ridurre lo sfruttamento delle risorse ambientali, i rifiuti, le emissioni, e che permettono di favorire la rigenerazione ambientale. Il progetto nasce con l’idea di costituire una sorta di database condiviso delle iniziative nel campo della tutela dell’ambiente, in modo da agevolare la più ampia partecipazione possibile.
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Stefana Broadbent: knowledge commons e sapere collettivo
Meet the Media Guru