“Ray Eames: In the Spotlight” (“Ray Eames: sotto i riflettori”) è una mostra gradevole, aggettivo che non è necessariamente in contrasto con l’opera degli Eames; ma ‘gradevole’ suona inconsueto per l’ambiente in cui la mostra è attualmente aperta.
Ray Eames sotto i riflettori
La mostra su Ray Eames all’Art Center College of Design di Pasadena è piena di calore, dal punto di vista emotivo e dei contenuti. Nei momenti migliori, è un’esperienza tattile, analogica e fisica.
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- Katya Tylevich
- 17 aprile 2014
- Pasadena
L’Alyce de Roulet Williamson Gallery presso l’Art Center College of Design di Pasadena, in California, con le sue bianche pareti da museo e le sue squadre di studenti e professori, è uno scenario artistico quanto mai accademico, situato in un edificio progettato da Craig Ellwood. Ma se ‘accademico’ è quasi sempre un eufemismo che sta per vagamente intellettualistico, serio e distaccato, la componente accademica di “In the Spotlight” non è nulla di tutto ciò.
È una mostra piena di calore, sia dal punto di vista emotivo sia da quello dei contenuti. Nei momenti migliori è un’esperienza tattile, analogica, fisica: una mostra che gioca con intelligenza su stratificazioni e tessiture per contrastare la piattezza delle superfici o, peggio, delle presentazioni. La mostra è positiva per il puro e semplice numero di oggetti suggestivi e riconoscibili che presenta, e in particolare è piena di prodotti progettati, dotati di funzioni evidenti e che quindi si propongono al visitatore come ‘estetica mirata alla funzione’. Naturalmente il merito va soprattutto agli stessi Eames, che hanno creato oggetti suggestivi e interessanti.
“In the Spotlight” fornisce al visitatore anche spunti biografica narrativi cui fare riferimento (cioè il rapporto sentimentale tra gli Eames), aprendo percorsi che permettono di entrare nei racconti; nessuno dei quali è per altro veramente drammatico. L’atmosfera è celebrativa. La presentazione dei caratteri è vivace e affettuosa. Si tratta chiaramente di una mostra di design e di architettura che vuol essere visitata e apprezzata da ampie fasce di pubblico, contrapponendosi alla soluzione alternativa, che spesso consiste in sezioni e rendering; e qui non c’è nulla di male. Quante altre mostre di design e di architettura sono dotate di una sezione di animazione (chiaramente dedicata a coinvolgere le famiglie) in cui i visitatori sono invitati, per esempio, a “creare il [proprio] Elefante degli Eames con la carta”?
Detto questo, la mostra cade talvolta in una familiarità eccessiva. Nella vita reale di Ray e Charles Eames certamente i percorsi familiari e quelli professionali erano intrecciati, ma forse in una mostra di questo genere, che comprende certi materiali pensati per i diari personali degli Eames, sarebbe stato bene rispettare o meglio analizzare le opere che la coppia creò per il pubblico. Esporre l’arte degli Eames accanto alle loro lettere personali, alle loro foto di famiglia e ai loro rudimentali strumenti espressivi (come i bottoni e i cuoricini realizzati e ritagliati da Ray) spiazza i “riflettori” che danno il titolo alla mostra dai loro importanti e raffinati successi professionali.
Insomma, l’Avvocato del Diavolo non dovrà fare gli straordinari per controbattere questa critica. Lettere d’amore, cuoricini e, più in generale, l’intimità vanno certamente d’accordo con l’etica delle “cose fatte per bene” e con l’estetica degli Eames. Probabilmente lettere, foto e altri artefatti generalmente sepolti nei cassetti personali sono qui per dipingere un ritratto più umano degli Eames, per dimostrare come questo sentimento umano sfoci in un modo di progettare confortevole, ottimista, funzionale, senza tempo. E tuttavia questa premessa è sepolta tra le reliquie private. Messi in mostra come accade qui, gli elementi di quotidianità che probabilmente ispirarono gli Eames diluiscono i risultati eccezionali dell’ispirazione.
Come suggerisce il titolo, “Ray Eames: In the Spotlight” è una mostra che tende a concentrare l’attenzione su Ray, la quale, per molti versi, è indivisibile dal ‘Charles’ che ne condivide il cognome. È una mostra che andava fatta. Naturalmente non sarebbe stata possibile se il rapporto familiare e professionale di Ray con Charles ne fosse rimasto fuori, e conoscere un po’ la biografia privata della progettista può certo contribuire a capire il suo punto di vista sul design. Ma che mostra sarebbe stata se fosse stata invece intitolata Charles Eames: In the Spotlight? Oppure Ray and Charles? In esposizione ci sarebbero state praticamente le stesse opere (dopo tutto lavoravano insieme) ma tutte le altre cianfrusaglie (cioè i bottoni e le foto di nozze) avrebbero avuto altrettanta luce dai riflettori?
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Fino al 4 maggio 2014
Ray Eames in the spotlight
Alyce de Roulet Williamson Gallery
Art Center College of Design, Pasadena