Renzo Martinelli, regista:
Ho un rapporto di amicizia con Germàn Fuenmayor (uno dei fondatori di piùarch), discutiamo spesso di spazio, quello teatrale e quello architettonico. Un giorno, poco prima del Salone del Mobile lo chiamo e prima che io riesca a dirgli che devo trovare una soluzione per Lait, lo spettacolo a cui sto lavorando, comincia a parlarmi dell'installazione che PSLAB, con cui piùarch ha da poco avviato una collaborazione, sta preparando per la facciata dello studio. Il tema dell'installazione è la luce e io penso che stia parlando del mio spettacolo. Nel momento in cui capisco che invece mi sta parlando dell'installazione per il suo studio...
Simona Bordone: Un magnifico qui pro quo!
R.M.: Davvero. Vado a vedere le foto: la soluzione del problema. La natura del testo di Magdalena in cui non è detto in che tempo ci troviamo (ieri, oggi, fra vent'anni?), non si capisce quale sia il luogo dell'azione -uno spazio futuribile alla Solaris di Tarkowskij?- e neppure chi siano i personaggi: dei folli in luogo manicomiale, dei barboni in cerca di una qualche salvezza, degli esseri strani che potremmo essere noi, pone dei problemi complessi di raffigurazione scenica. E poi la luce che è elemento fondante dello spettacolo: tutto nel testo ruota intorno alla luce, al biancore della luce. Piuttosto difficile da rendere mantenendo un equilibrio tra testo, attori e scena. Il progetto di PSLAB, RE/DO contiene l'idea di riuso, anche se in un senso diverso, e il teatro di ricerca deve far quadrare i bilanci.
S.B.: È frequente un caso come questo in cui un progetto nato per un altro luogo e contesto viene spostato in teatro?
R.M.: Di solito gli spettacoli nascono per il Teatro I, uno spazio piuttosto piccolo. E in teatro vince sempre la struttura architettonica dello spazio scenico.
S.B.: Si potrebbe dire quindi che sono site-specific…
R. M.: Sì ma è sempre prevista la possibilità di farli in spazi differenti. Questo lavoro ad esempio può essere ridisegnato per uno spazio molto più grande proprio a partire dalla modularità delle parti che compongono la scena. Perciò la sfida è stata quella di prendere un progetto altro e ritrovare la misura giusta per il teatro. In realtà accade che la serialità risolve alcuni problemi scenotecnici e si rivela più duttile di quanto potrebbe sembrare.
S.B: Ma come si è passati dall'installazione, una grande parete di 5,24 metri per 7,87 alle scene per Lait?
R.M.: Dovevamo correre, la prima di Lait era il 5 maggio e RE/DO (il titolo dell'installazione) sarebbe stata smontata il 27 aprile! La prima idea di scena che partiva da una parola del testo "corridoio", alle volte è una singola parola del testo a fornire le suggestioni, prevedeva un corridoio di luce sospesa che faceva da controcanto al corridoio a terra in cui si muovono gli attori. E Barbara ...
Barbara Cenni, PSLAB: Sì all'inizio ero un po' preoccupata, non mi era ben chiaro come si sarebbe potuto usare. L'installazione era nata per essere una parete verticale a partire da un modulo 120x120. La mia era una perplessità di tipo più tecnico che concettuale. Avevamo discusso a lungo, durante la fase progettuale, di una possibile seconda vita di questo lavoro: l'idea che diventasse una scenografia, una cosa molto diversa ma contemporaneamente fedele all'originale ci ha entusiasmati. Il corridoio sospeso è poi diventato diverse pareti che hanno riempito il teatro.
S.B. PSLAB si presenta al Fuori Salone con un lavoro di ricerca. Ma come, durante la crisi si ignora del tutto l'aspetto commerciale?
B.C.: Volutamente. Non partiamo mai dalla necessità di proporre al mercato un oggetto, il nostro lavoro consiste nell'interpretare al meglio la luce in uno specifico contesto. Del resto per PSLAB è stato naturale cominciare a sviluppare e produrre i sistemi e i corpi illuminanti per i nostri concept sia perché essendo a Beirut inizialmente non potevamo contare su un tessuto industriale in grado di realizzare i nostri progetti che, soprattutto, perché l'autoproduzione ci permette una totale libertà espressiva e creativa. Quindi ci siamo strutturati anche per produrre. Con piùarch si era deciso di mostrare soprattutto un modo di progettare che ci accomuna, in particolare il rapporto tra illuminazione e architettura. In questo caso il concept del lavoro è quello di riutilizzare un oggetto esistente, umile -una tanica- e trasformarlo dandogli nuova vita e significati diversi. È la risposta alla domanda, che molti si stanno facendo, sulla impellenza di creare nuove forme, nuovi oggetti. Ecco, per PSLAB non è strettamente necessario. Riutilizzare oggetti e forme già esistenti è un approccio sensibile al problema della sovrapproduzione di oggetti ma anche di forme; un altro modo di riciclare e di ripensare il proprio ruolo di progettisti.
Monica Tricario, piùarch: Direi che è proprio dalla crisi che nasce l'idea: riciclare l'esistente. D'altra parte in architettura si fa continuamente, soprattutto in Italia dove la possibilità di costruire nuovi edifici è modesta. Ma il trasformare l'esistente non è solo "dare una mano di vernice" è proprio ripensare gli spazi, un atto creativo forte.
B.C.: Quando ci hanno detto che la scenografia sembrava nata apposta per lo spettacolo... beh è stato il miglior complimento a tutti noi.
S.B.: Qual è il lavoro di un drammaturgo, anzi di una drammaturga, che voglia confrontarsi con il presente?
Magdalena Barile: Scrivere al presente. La prima cosa che mi sembra rilevante, che è anche il privilegio di scrivere per il teatro e non per altre forme di spettacolo, è che si scrive pensando a delle persone in particolare, ai loro corpi. Ho cominciato a scrivere pensando a Milutin Dapcevic (il protagonista maschile dello spettacolo) e in qualche modo alla sua luce. Conta la relazione che si stabilisce con le persone reali: per me era importante quello che dice, pensa, come si muove. Insomma ciò che una persona irradia. Poi per esigenze narrative è nato un altro personaggio e ho pensato a Federica (Fracassi, protagonista femminile) e Renzo li conosce bene entrambi. Perciò abbiamo cominciato a costruire l'insieme fino a che tutto è diventato organico.
Anch'io sono rimasta colpita dalla coincidenza di questo strano incrocio ma tant'è nel testo si parla di un'artista che sta facendo un'opera con la luce...Quando ho visto le taniche ho detto facciamolo così! All'inizio nella mia testa il luogo dell'azione era spettrale, un giardino cimiteriale con delle luci nel quale queste anime, queste persone rimanevano. Persone che nella storia sono come abbindolate dall'idea dell'eternità, dell'arte, ecco questa installazione ha inserito un elemento positivo. Nel testo sono pochi i riferimenti all'attualità: uno di questi è quello sulla raccolta differenziata, la sua inutilità... e invece l'idea di riciclo di RE/DO sottolinea alcuni aspetti del testo relativi alla luce. La luce si risparmia, si rigenera, si spegne ma la luce che avevo scritto era in origine un po' metafisica, in parte anche un riferimento all'amore, quello che nasce nelle relazioni. Poi ha cambiato forma grazie alle relazioni con le persone con cui lo spettacolo è stato costruito.
S.B.: Dici che per te sono importanti le persone e che la scrittura nasce da incontri reali. Allora chi è questo artista, "il Greco" di cui si parla. Ti riferisci a qualcuno in particolare?
M.B.: "Il Greco", che brilla per la sua assenza dalla scena, potrebbe essere chiunque anche uno di noi.
Tout se tient. Chissà se a Lait capiterà di continuare in questo circolo virtuoso e magari essere rappresentato a Beirut da un coraggioso teatro per il quale PSLAB ha ricevuto l'incarico di rifare l'illuminazione del foyer, e la cugina di un attore della compagnia è in contatto con un artista di Miami che ha un amico a Hollywood che ha studiato architettura in Lituania che avuto una love story con una nota drammaturga di Berlino che ha appena avuto l'incarico di fare il programma di un festival di teatro europeo a Bombay che ha per tema…