Il 24 Aprile, a 64 anni, Michael Wolf ha lasciato il nostro mondo, quello stesso complicato mondo che aveva per tanti anni rappresentato nelle sue splendide e complesse immagini. E lo ha fatto da Cheung Chau, nel cosiddetto Distretto delle Isole a sud di Hong Kong dove si era trasferito nel 2004 come corrispondente della rivista Stern.
Ed è davvero singolare che quella in cui ha vissuto negli ultimi due anni sia una delle più piccole e da sempre più scarsamente popolate tra le 236 isole dell’arcipelago: una scelta di vita decisamente filosofica per un artista che ha fatto della densità abitativa la sua chiave di lettura del mondo (ovvero un modo molto poetico di essere contemporaneamente vicino a e lontano dalle proprie ossessioni). Se infatti le sue piccole guide agli inusuali utilizzi dei vicoli di Hong Kong sono stati un sorta di diario visuale affettuoso e divertito, è con “Architecture of Density” che Wolf, già vincitore di due World Press Photo nel 2005 e nel 2010, si è imposto all’attenzione internazionale, arrivando, ancora nel 2010, anche alla candidatura per il prestigioso Prix Pictet sul tema della crescita.
Le colorate, immense, iper–dettagliate facciate riprese per più di dieci anni a Hong Kong hanno rappresentato, e ancora rappresentano, un must e un termine di paragone non tanto della fotografia d’architettura in senso stretto quanto dell’arte fotografica in generale, per non dire di quella, più ampiamente sociologica e antropologica, che distingue ogni atto creativo degno di nota.
Ma se il premio per le immagini più iconiche va tuttavia a quelle raccolte in “Tokyo Compression”, dove i salarymen giapponesi vengono costretti dai limiti fisici del trasporto metropolitano e al contempo da quelli concettuali della fotografia, a “A Series of Unfortunate Events” (anche questo pubblicato da Peperoni Books, come tutti i diciassette libri usciti negli ultimi dieci anni) va sicuramente riconosciuto di essere l'indagine visiva che per prima, come al solito con umorismo e una leggerezza mai banale, ha sdoganato l’uso artistico di Google Street View.
Ed è proprio dalle coste della sua isoletta che negli ultimi due anni, ogni mattina, Michael Wolf ha ritratto le albe sull’arcipelago di Hong Kong raccolte nel suo ultimo lavoro, “Cheng Chau Sunrises” (Buchkunst Berlin, 2019), un inno alla natura, un omaggio alla pittura, una concessione alla libertà e soprattutto una riflessione sull’impermanenza con cui Wolf per una volta, come contrasto consapevole e purtroppo ormai significativo al resto della sua opera, esclude dallo sguardo la città e le sue intricate e futili macchinazioni.