Napoli. 16 Dicembre 1631. Il Vesuvio esplode in tutta la sua potenza.
L’evento fu catastrofico, circa 4.000 le vittime. Portici, Torre del Greco, Resina (l’antica Ercolano) e Torre Annunziata furono rase al suolo. Disperazione, follia, morte. La leggenda narra che le popolazioni, prese dallo sconforto dopo circa 17 giorni di continue eruzioni, decisero di esporre la statua di San Gennaro, santo patrono della città di Napoli, di fronte al vulcano, sperando così in un miracolo.
Il Vesuvio dopo qualche ora si calmò. L’estrema riconoscenza al santo fu scolpita sulla Reale cappella del tesoro di San Gennaro: “Divo Jannuario – Patrie, regnique praesentissimo tutelari – grata Neapolis”.
Micco Spadaro, al secolo Domenico Gargiulo, pittore napoletano del XVII secolo, decise di dipingere l’evento come ulteriore riconoscenza al santo e ai suoi tanti prodigi.
L’opera è una mescolanza di generi e tecniche, una veduta naturalistica tra architetture che separano la grande folla di gente in processione per il Santo patrono.
Le linee di fuga partono dai lati e arrivano diritte sul potente Vesuvio. La processione si dispone su linee morbide, quasi concentriche, che si muovono, in accordo con le architetture, sempre verso il Vesuvio. Al lato destro del dipinto, quasi all’angolo, appaiono un gruppo di angeli. L’arrivo di Dio, il miracolo del santo. La scena è gremita ma quieta, la speranza padroneggia sul luogo, sulle persone, ma sopratutto sull’elevato vulcano.
Un momento difficile per la città che trova nel suo santo protettore l’unica salvezza.
Il Vesuvio è stato narrato nella storia dell’arte da numerosi artisti: Andy Warhol, John Ruskin o da Winston Churchill, raffinato artista ma più noto come politico.
Warhol espone la forza del vulcano attraverso colori forti, contrastanti e sgargianti. Churchill lo descrive scegliendo come narrazione principale il sito archeologico di Pompei che torna in qualche modo al nostro racconto, un racconto che prende spunto da una data, una ricorrenza che torna all’attualità con forza, alle tragedie naturali di questa regione, alla tragedia di Ischia.
Descriveva così il maestoso vulcano Curzio Malaparte, scrittore e giornalista italiano “E là, di fronte a noi, tutto avvolto nel suo mantello di porpora, ci apparve il Vesuvio. Quello spettrale Cesare dalla testa di cane, seduto sul suo trono di lava e di cenere, spaccava il cielo con la fronte incoronata di fiamme, e orribilmente latrava. L'albero di fuoco che usciva dalla sua gola affondava profondamente nella volta celeste, scompariva negli abissi superni. Fiumi di sangue sgorgavano dalle sue rosse fauci spalancate, e la terra, il cielo, il mare tremavano.”
Immagine in apertura: L’eruzione del Vesuvio nel 1631, Micco Spadaro (Domenico Gargiulo), 1656-1660