I quattro giorni dell'OCA

Dal 14 al 17 giugno, presso l'ex fabbrica Ansaldo, il Comune ha organizzato un evento aperto per raccogliere le energie creative della città. È stato poco più di un piccolo fuoco, ma le acque si possono smuovere anche partendo da un gesto o persino da un passo falso.

A Milano continua la grande danza intorno alla costruzione e alla ricerca di spazi per le arti. La città con più gallerie, la capitale del design, la capitale della moda, continua a non avere luoghi istituzionali pubblici che tesaurizzino questo suo capitale umano e culturale. E, ovviamente, mancando il grande totem, la città danza intorno a piccoli focolai. Nel bene e nel male. È su questo che sono nate, un po' dal nulla, le Officine Creative Ansaldo (OCA), un "bando" dell'Amministrazione milanese che intende così invitare tutti i soggetti operanti nel settore della creatività a presentare le proprie proposte che confluiranno in un palinsesto più generale.

Ovvero un evento di quattro giorni per accendere la miccia dello spazio Ansaldo, in via Tortona a Milano, indicato strategicamente dalla nuova giunta come lo spazio per le arti e, più in genere, per la creatività. L'iniziativa – va da sé – è nata sulla scia lunga di Macao (con tutte le critiche, bisogna dare atto ai Lavoratori dell'Arte di aver acceso una luce non da poco su queste questioni). C'era bisogno di far vedere che il Comune c'è, che la sinistra progressista di questo paese ha a cuore il tema e, dopo un anno di governo di Pisapia, c'era bisogno di gettare un sasso nello stagno. Ecco, quindi: OCA.

Lo spazio della ex-Ansaldo. Photo Delfino Sisto Legnani

OCA è un sasso (non il totem), perché per ora è poco meno di un teaser, un laboratorio e un'anteprima. Non è un museo né l'inaugurazione di uno spazio: è un dibattito di quattro giorni, un evento. Non ha ancora un piano, un budget, un'allocazione di risorse, personale, curatori, calendari o quant'altro possa avere bisogno uno spazio per l'arte. È un evento aperto e, come dicevo, un piccolo fuoco intorno al quale raccogliere le energie della città. È chiaro a tutti che a questa città non basta una piccola luce (come ha giustamente sottolineato Vincenzo Latronico su ilPost): Milano deve guardare in cima alla scala, se vuole salire i primi tre gradini. Così com'è altrettanto evidente che si può smuovere le acque anche partendo da un piccolo gesto, o persino da un passo falso.

Lo spazio della ex-Ansaldo. Photo Delfino Sisto Legnani

Ma a voler fare una riflessione in più, a mente più fredda, dietro i tre giorni di OCA c'è un problema più grande, ovvero il rischio di perdere il fuoco sulle cose, a causa dell'eccesso di comunicazione. La foga di far succedere qualcosa, prima di sapere che cosa. Si creano moltitudini di eventi, riviste, iniziative, contenitori culturali vari, il tutto perdendo il polso sul prodotto. Fateci caso: questa città produce una quantità smisurata d'iniziative, di spazi, di proposte, in cui, a ben guardare, l'oggetto della questione, il cuore della faccenda, alla fine viene involontariamente per perdersi. Persino le riunioni di lavoro, a cui tutti partecipiamo, cominciano dalle cornici (PR, immagine, titoling, partnership, budget, network), e solo alla fine arrivano al cosa. Si lavora e si pensa alle relazioni pubbliche, la grafica giusta, il titolo bello, l'ufficio stampa che funziona e i partner che suonano bene, a fondo invito. Poi sposti la tenda, e non vedi quel che c'è. Il che è come organizzare un Keynote Apple senza l'iPhone, parlando così, in generale, di numeri di telefono. E questo è a mio avviso il problema di OCA. Che suoni come una critica costruttiva: c'è uno spazio bellissimo, il titolo giusto, la grafica colta, il copy bravissimo, i partner di livello, le intelligenze migliori e i dibattiti che funzionano. Sarebbe stato bello (e sano) se per una volta Milano non ne avesse fatto il senso dell'operazione, se per una volta avesse pensato un po' meno al packaging, se avesse concentrato più energie sull'oggetto, e avesse evitato così che nel futuro centro delle arti, le arti sembrassero assenti.

Lo spazio della ex-Ansaldo. Photo Delfino Sisto Legnani
Lo spazio della ex-Ansaldo. Photo Delfino Sisto Legnani
Lo spazio della ex-Ansaldo. Photo Delfino Sisto Legnani