Nel 2003 George Steiner, critico letterario, filosofo e saggista americano di origini parigine, intervenne a un seminario a Tilburg, in Olanda. La città ospitava il convegno annuale del Nexus Institute. La conferenza di Steiner aveva un semplice obiettivo propedeutico: affermare che la complicata e multiforme idea di Europa – legata a storie, confini, paesaggi, vite e lingue – si può di fatto leggere attraverso una semplice tipologia spaziale: quella del caffè.
Secondo Steiner i caffè sono, e devono essere, luoghi di ritrovo, di cospirazione, di dibattito, di pettegolezzo: “aperti a tutti” ma contemporaneamente “circoli privati”. Sono stati storicamente parte integrante dell’evoluzione del percorso di superamento delle frontiere ai livelli più alti delle élite intellettuali, ma sono stati anche cruciali per lo sviluppo del pensiero radicale tra appassionati scrittori, pensatori senza patria e rivoluzionari spiantati. “Nella Milano di Stendhal, nella Venezia di Casanova, nella Parigi di Baudelaire”, sostiene Steiner, il caffè (o l’agorà, o la Stammtisch) “erano il luogo dell’opposizione politica, del liberalismo clandestino”.
Oggi i blasonati caffè dell’Europa continentale in genere sono diventati rozze imitazioni di ciò che furono. A Venezia, al Caffè Florian di Piazza San Marco, si pagano 10 euro per un cappuccino e qualche armonia del quartetto d’archi. A Vienna il Café Central fonda la sua fama contemporanea sull’apfelstrudel mit schlag condito di un corredo pseudonovecentesco. A Parigi Les deux magots di boulevard Saint-Germain sarà magari ancora il ritrovo di professori e studenti, ma è contemporaneamente sopraffatto dai turisti del percorso “vedi tutto e mangia di tutto”. In uno Starbuck non si può oziare o languire, a parte la speranza di una casuale felice conversazione sullo sfondo di una marea di cellulari e tablet connessi al WiFi gratuito. L’evoluzione pandemica del caffè ha visto la dissoluzione e la dispersione della sua qualità di scenario di provocazione e di riflessione.
C’è ovviamente un pericolo molto concreto nell’“autodefinirsi ‘luogo della memoria’ da parte dell’Europa”: si dovrebbe far attenzione a mitizzare spazi e luoghi che con ogni evidenza non esistono più. Steiner se ne rende conto e ce ne mette in guardia, e tuttavia le sue argomentazioni mirano a una discussione parallela di portata molto più ampia sul significato e il valore del ritrovo. Nella sfera dell’architettura, per lo meno, le riunioni ufficiali non sembrano andar deserte: biennali e triennali crescono di numero e d’importanza, per esempio, e lezioni, conferenze e inaugurazioni di mostre creano sempre più vasti conclavi di convenevoli, tra il gran tintinnare di calici di bollicine. Mentre il discorso si globalizza e la comunicazione digitale viene considerata pari, se non superiore, alla discussione faccia a faccia, sarebbe il momento di riflettere su un’idea relativamente semplice: stiamo trascurando il valore intrinseco del tête-à-tête informale, inatteso, improvvisato?
Nella capitale della Slovenia è venuta in luce una risposta a questa domanda d’attualità, e in piena consapevolezza. Il nucleo storico di Lubiana è legato all’influsso austroungarico ed è stato reso omogeneo dalla mano ideologica di Jože Plečnik. Accanto alle strutture dell’ex Jugoslavia e ai progetti contemporanei tutto si è fuso a formare una città che sta elaborando la sua identità del XXI secolo. Lo scenario è propizio, di fronte a questa evoluzione, a una specie di revival della cultura dei caffè e dei principi di cui è simbolo.
A pochi minuti d’auto dal centro cittadino, sulle rive della Ljubljanica, sorge un’istituzione che proietta lo guardo oltre i propri confini. Nel 2015 il Museo d’Architettura e Design sloveno (MAO, Muzej za arhitekturo in oblikovanje) ha ideato e promosso (insieme con altri 14 istituzioni europee) la Future Architecture Platform (FAP): un programma d’azione che, per usare le parole dei promotori, “s’ispira al compito sociale dell’architettura europea in quanto forza culturale fondamentale” innescando una collaborazione paneuropea. Al fianco d’istituzioni come il MAXXI di Roma, il Museo svizzero di Architettura di Basilea, il CANactions di Kiev, la FAP ha lanciato e favorito iniziative pubbliche e convegni per la cooperazione, cercando di promuovere l’architettura, la cultura, il sapere e il capitale sociale tramite una “piattaforma comune” unica.
La piattaforma comune teoricamente si estende fino agli estremi confini dell’Unione Europea. Nel 2015 la FAP è stata una delle uniche tre piattaforme selezionate tra 47 proposte candidate al progetto comunitario Europa Creativa Cultura (da cui provengono il mandato e i finanziamenti dell’organizzazione). All’inizio di quest’anno è stato annunciato che quella della FAP è una delle 13 proposte che si sono assicurate il rifinanziamento del programma Piattaforme Europee, che ha stanziato altri 2 milioni di euro per il sostegno dell’organizzazione nei prossimi quattro anni.
Matevž Čelik, direttore del MAO, è stato il perno della formulazione e del coordinamento dell’ambizioso tentativo di mettere insieme le risorse collettive di un intero continente. Al centro, dichiara Čelik, “la principale attenzione della FAP è stata incontrare il maggior numero di persone possibile in tutta l’Europa, per discutere le loro idee sul futuro dell’architettura”. Si tratta, sotto più di un aspetto, di un compito di profonda generosità, che per di più favorisce e implica necessariamente contatti con il mondo reale. Il citato concetto di “convegno per la cooperazione” da questo punto di vista è fondamentale: “Qui le persone s’incontrano e si presentano le une alle altre”, spiega Čelik. “L’intento è far sì che chi s’impegna trovi il partner perfetto, per sviluppare poi insieme mostre d’avanguardia, convegni, laboratori e così via.”
Il ragionamento di Čelik sotteso alle motivazioni della piattaforma è chiaro: “Per capire se si può, o se si vuole, lavorare a un progetto insieme con qualcun’altro bisogna incontrarsi di persona”. Le discussioni a quattr’occhi generano fiducia, ritiene: “Rituali come stringersi la mano o tenere aperta una porta per qualcuno accrescono di molto la comunicazione tra le persone”.
Lo sviluppo della FAP ha coinciso con la più recente versione della BIO, la più antica biennale di design del mondo, che lo stesso MAO ospita e coordina. La manifestazione in corso (la mostra “Countryside Reloaded”) è un tour de force in fatto di ambizioni curatoriali ed è stata realizzata con altrettanto successo. Caratterizzata da un ciclo di mostre nello stesso museo, cui è collegata una costellazione di installazioni sparse nel territorio circostante, è anche una manifestazione che richiede un certo livello di attenzione e di impegno sul territorio da parte dei potenziali visitatori.
Con due manifestazioni paneuropee che si svolgono contemporaneamente nel museo, Čelik non esita ad affermare che “l’ambizione del discorso architettonico non è mai arrivata davvero a mettere insieme le persone”. Tale discorso si è piuttosto “sviluppato sui media, con le mostre, gli incontri accademici e altre attività”. Secondo lui Internet fornisce una reazione più utile e immediata, ma allo stesso tempo ha “completamente eliminato ogni esigenza di interazione fisica”. Ciò detto, afferma, “dato che la presenza fisica non è più necessaria in alcun modo alla comunicazione, siamo meglio in grado di distinguere i benefici di un incontro nel mondo reale”. In questa impostazione sta il carattere originale della FAP.
Con la riformulazione e l’ampliamento della rete di istituzioni coinvolte nell’organizzazione, la speranza è certamente che gli ideali fondativi della FAP non vengano trascurati né – il che è secondo me più urgente – indeboliti. Nel 2003, quando Steiner tenne la conferenza pubblica “The Idea of Europe” entro i confini del Benelux, la Slovenia era ancora distante un anno dall’ingresso a pieno titolo nell’Unione Europea. Un quindicennio dopo non c’è dubbio che il discorso europeo sull’architettura stia – finalmente – iniziando a trovare un nuovo equilibrio tra Oriente e Occidente. È in questo nuovo territorio che la Slovenia è all’avanguardia.
La “Future Architecture Platform” lancia nel novembre 2017 il suo secondo invito a presentare proposte.
© riproduzione riservata
- Piattaforma:
- Future Architecture Platform. Architecture is Human
- Titolo mostra:
- Future Architecture Festival: Breaking Down the Walls
- Date di apertura:
- 20 – 30 ettembre 2017
- Sede:
- Museum of Architecture and Design (MAO)