Questo articolo è stato pubblicato su Domus 955, febbraio 2012
"La forma di una città, ahimé", ha scritto Charles Baudelaire
lamentando le catastrofi che si abbatterono sulla Parigi di metà
Ottocento , "cambia più in fretta del cuore di un mortale".
E non c'è luogo al mondo in cui la forma della città stia subendo
trasformazioni più rapide e profonde che nelle capitali finanziarie
delle economie asiatiche emergenti: città che, a differenza
dei casi dei nuovi agglomerati urbani cinesi da parecchi
milioni di abitanti e degli ampliamenti extraurbani di nuova
costruzione (come la new city di Songdo in Corea o la Noida
vicino a Nuova Delhi), non occupano campi prima spopolati. Il
loro tessuto è il prodotto della stratificazione, del compromesso,
dell'adattamento e dell'ingegnosità, e le prevedibili conseguenze
dell'improvvisa affluenza di capitali sono spettacolari gesti
di cancellazione, negoziati per lo più a porte chiuse nelle sedi
dei consigli d'amministrazione e degli uffici di pianificazione
urbanistica. Il destino di vaste fasce urbane (di comunità e di
economie intere, equivalenti urbanistici di organi corporei)
viene a dipendere dalla semantica, dalle definizioni e da sottili
questioni di rappresentazione.
In quel campo di battaglia che è la città di oggi, ogni tecnica
cartografica (da Street View alle mappe comunali, da Sistemi
Informativi Territoriali a OpenStreetMap) ha una propria
strategia, deliberata o inconscia. Provate a inserire la parola
Dharavi nel campo di ricerca di Google Maps e vi troverete
improvvisamente catapultati in quella che appare come una
gran macchia di vuoto color giallo chiaro compresa tra due linee
ferroviarie della città di Mumbai. In questo vuoto cartografico
giallastro, l'intrico delle strade circostanti si dissolve in una
sorprendente assenza di particolari. E si nota subito che questa
gran macchia di vuoto occupa una posizione strategica: a pochi
passi dal complesso Bandra-Kurla, un'area che, dopo decenni
di espansione verso nord, è diventata l'epicentro finanziario
e commerciale della città e che è comunque vicina a molti dei
più importanti nodi del traffico pendolare cittadino.
URBZ: urbanistica collettiva
Per Rahul Srivastava e Matias Sendoa Echanove, il modo più efficace per migliorare il futuro delle nostre città è permettere a chi ci abita di progettarle.
View Article details
- Joseph Grima
- 13 febbraio 2012
- Mumbai
Ma se si passa alla vista satellitare la scena, a sorpresa, si trasforma: il vuoto anòdino viene rimpiazzato da uno strato puntiforme e irregolare di urbanesimo brulicante di vita. Dharavi si rivela per ciò che è: uno dei quartieri di Mumbai, popolato da alcune centinaia di migliaia di abitanti e da quasi altrettante piccole ma vitalissime attività commerciali, officine strette una accanto all'altra, laboratori marginali sospesi in un limbo spaziale tra esterno e interno, laboratori di stampa modernissimi accanto a rudimentali negozi di ferramenta e a una miriade di minuscole drogherie; per non parlare degli oltre cento luoghi di culto. Un vibrante paesaggio urbano pulsante, spesso definito come la più grande baraccopoli d'Asia, circondato dalle più preziose proprietà immobiliari del capitale finanziario indiano. Ma è unico solo per la sua posizione strategica: è emblematico di come vive metà della popolazione urbana. Ingrandiamo la scena puntando sull'isolato n. 4/6/12, oltre la ferrovia: si mette a fuoco l'immagine di quello che probabilmente è l'unico studio di progettazione che abbia sede a Dharavi. Non che comunque lo si possa distinguere da quel che lo circonda, dato che URBZ sta in cima a una tipica struttura a tre piani, irregolare risultato (come ciò che lo circonda) di decenni di continui adattamenti per addizione. Per arrivare allo studio bisogna salire parecchie rampe di scale strette e irregolari, e poi arrampicarsi su per una scala metallica a pioli quasi completamente in verticale.
A Dharavi abitano tra mezzo milione e un milione di persone, ma nessuno lo sa con certezza perché non ci sono statistiche demografiche recenti affidabili. Un'indagine della National Slum Dwellers Federation (la Federazione Nazionale degli Abitanti delle Baraccopoli) ha censito nel 1986 530.225 abitanti riuniti in 106.045 proprietà, nonché un totale di 80.518 strutture, ma da allora questi numeri sono certamente aumentati. Se la stima da 500.000 a un milione di abitanti è corretta, la densità va da quattro a otto volte quella di Manhattan: una realtà quasi inimmaginabile, per lo meno a un osservatore occidentale, se si considera che gli edifici hanno in media tre piani. Ma Matias Sendoa Echanove e Rahul Srivastava, fondatori di URBZ, non ci stanno a definire Dharavi una baraccopoli. La terminologia (come la cartografia), sottolineano, porta con sé dei pregiudizi e chiamare 'baraccopoli' il quartiere ne fa un'area condannata a morte, in cui la demolizione e la ricostruzione completa sono una realtà inevitabile: una prospettiva che si identifica con una specie di sogno erotico per il municipio e per gli immobiliaristi della città, fin troppo coscienti del valore multimiliardario (in euro) del terreno su cui il quartiere sorge. Ripensarlo, come fa URBZ, come un quartiere cittadino privo delle infrastrutture che meriterebbe è un tentativo di aggirare i preconcetti tramite il linguaggio, concentrandosi invece sulle interessanti potenzialità latenti della sua straordinaria realtà sociale urbana.
Per URBZ Dharavi è un laboratorio in cui coltivare una nuova impostazione dal basso, auto-organizzata, della progettazione urbanistica
Epicentro della piccola industria e dell'artigianato della città, costituisce una straordinaria realtà produttiva della Mumbai di oggi; una valutazione prudente stima il valore annuale dei beni prodotti a Dharavi in circa 400 milioni di euro che, se si considerano gli investimenti infrastrutturali dedicati alla sua creazione (o piuttosto la loro carenza) mettono il quartiere al primo posto della città per efficienza e produttività. Come a riconoscere che le città sono entità complesse che mal si prestano alle generalizzazioni, Echanove, urbanista di origini svizzero-spagnole, e Srivastava, che ha studiato Antropologia urbana e sociale, hanno deciso di non raggruppare tutte le loro attività sotto l'ombrello dello studio urbz. Parallelamente conducono parecchie attività, tra cui quelle dell'Institute of Urbanology, centro di ricerca con sede a Goa che si dedica alla conoscenza dei processi incrementali di sviluppo e alle attività quotidiane che definiscono l'identità di città come Bogotá, Tokyo, Istanbul, New York, Nuova Delhi, Goa e Mumbai, ma evita la pura rappresentazione statistica e cartografica. In contrapposizione all'orientamento numerico che ha caratterizzato il tentativo di comprendere le città negli ultimi decenni, il metodo dell'urbanologia' si fonda sulla conoscenza e sulla documentazione degli ecosistemi urbani tramite l'impegno diretto con le persone e sul territorio: il censimento delle attività professionali domestiche nei settori dell'edilizia residenziale, dell'artigianato e del commercio, nonché gli spazi fisici e teorici in cui questi settori d'attività convergono. Per realizzare la propria missione l'urbanologo' fa ricorso alle scienze sociali: "Nella maggior parte dei casi", scrivono Echanove e Srivastava sul loro blog airoots/eirut, "l'urbanologo e l'antropologo sono la stessa cosa".
La prospettiva para-antropologica dell'osservazione della condizione urbana deriva in gran parte dalla convinzione che progettare per un contesto come quello di Dharavi (o di qualunque situazione urbana, se è per questo) deve necessariamente passare per il coinvolgimento degli abitanti, degli utenti finali. Per urbz, Dharavi è una specie di laboratorio in cui si può coltivare una nuova impostazione dal basso, auto-organizzata, della progettazione urbanistica. Parafrasando Venturi, Scott Brown e Izenour, imparare dal paesaggio esistente è un modo per essere rivoluzionari. URBZ sottolinea, per esempio, il contrasto tra la risposta istituzionale alla crisi degli alloggi (cioè la realizzazione su vasta scala di edifici per uso civile a basso costo, che si trasformano prontamente in baraccopoli verticali) e la quantità decisamente maggiore, di qualità ben superiore, delle unità abitative costruite da capimastri e utenti finali a costo inferiore in molti insediamenti non pianificati di Mumbay. Un esempio specifico portato a sostegno di questa tesi, poi diventato oggetto di un laboratorio tenuto da urbz presso il Sir JJ College of Architecture, è una casa costruita nel quartiere di Utkarsh Nagar dal capomastro Amar Madhukar Nirjankar per 250.000 rupie, cioè circa 3.850 euro. Nella prospettiva dell'urbanologia, l'impresario edile è un personaggio chiave: condensa in un'unica figura tutte le qualità di pragmatismo, ingegnosità, concretezza commerciale e astuzia politica che danno spessore a Dharavi, nonostante l'assenza di qualunque progettazione formale e di qualunque investimento nelle infrastrutture. Riprendendo l'atteggiamento di David Harvey, Echanove e Srivastava intendono la città in generale, e Dharavi in particolare, non come il luogo dell'attività produttiva, ma come l'attività produttiva stessa, un luogo in cui produttore e prodotto coincidono, e in cui l'impresario edile (insieme con l'artigiano postindustriale e il ferramenta) è un nodo vitale della struttura sociale.
Echanove e Srivastava sono ben consci che la sussistenza di Dharavi, al di là di qualunque miglioramento delle infrastrutture e delle condizioni di vita, dipende dal contesto in cui verrà inquadrato il dibattito sul suo futuro. Le autorità, da parte loro, l'hanno senza esitazioni definito "insediamento informale" e l'hanno posto sotto la responsabilità della Slum Redevelopment Authority, l'agenzia per la ricostruzione delle baraccopoli, che ha ovviamente annunciato l'intenzione di radere al suolo il quartiere per far posto a una nuova iniziativa immobiliare ("Dharavi", afferma una municipalità decisamente incurante di occultare la propria voracità immobiliare, "è l'occasione del millennio"). Agli abitanti attuali verrebbe offerta una qualche forma di proprietà (nella maggior parte dei casi un piccolo appartamento, potenzialmente in un luogo qualunque) ma la maggior parte degli enormi profitti che si creerebbero finirebbe senza dubbio nelle tasche degli immobiliaristi.
URBZ e l'Institute of Urbanology si oppongono a questa soluzione con una sorta di attività di guerriglia artistica, disseminando nei loro blog immagini perfettamente credibili delle strade di Dharavi mescolate a vedute urbane di Torino, di Tokyo e di altre città. Il messaggio è chiaro: poiché la crescita urbana incrementale è la forma ordinaria dell'edilizia urbana in tutto il mondo, tutto il mondo è Dharavi, e non si può semplicemente far finta di non vedere il problema dell'integrazione tra nuovo e vecchio. JG